Rapporto Censis 2016

Giunto alla 50a edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di debole ripresa che stiamo attraversando. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come stiamo vivendo una «seconda era del sommerso», non più pre-industriale, ma post-terziario. Nel silenzioso andare del tempo, la società continua a funzionare nel quotidiano, a ruminare gli input esterni, a cicatrizzare le sue ferite. Ma, nel parallelo rintanamento chez soi di mondo politico e corpo sociale, emerge la crisi profonda delle istituzioni.

Nella seconda parte, La società italiana al 2016, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, che fanno emergere una Italia rentier che non investe sul futuro e che, nell’anno del primato degli irresistibili flussi, sperimenta insorgenti piattaforme di relazionalità, nonostante si sia rotta la cerniera tra élite e popolo. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

WELFARE E POVERTA’
L’Italia non è un Paese per genitori. Che in Italia si facciano pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell’immaginario collettivo. Secondo una indagine del Censis, l’87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l’83,3% la crisi economica ha avuto un impatto sulla propensione alla natalità rendendo più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il 60,7% è tuttavia convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli), la scelta di avere un figlio sarebbe più facile. Pesa però anche la presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga inevitabilmente i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Le coppie che si sottopongono alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita) sperimentano un percorso articolato, con modalità di accesso e opportunità molto differenziate tra le diverse regioni: il 76% delle coppie in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei, il 79,5% pensa che non in tutte le regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).

Disegualmente poveri: la geografia dei nuovi disagi. Il mercato del lavoro oggi genera sempre meno opportunità occupazionali lasciando senza redditi da lavoro quote crescenti di famiglie. Tuttavia, la povertà economica è solo uno degli aspetti del disagio sociale. La deprivazione coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà. Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in severa deprivazione abitativa sono 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all’abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775.000 sono in gravi condizioni di deprivazione. Le famiglie in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all’8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa hanno creato un gorgo che può attirare in sé anche chi tradizionalmente è rimasto lontano dal disagio: questo genera una incertezza diffusa e spinge a pensare che solo pochi sono fuori dal rischio di cadere in condizioni di disagio.

I popoli delle pensioni. I nuovi pensionati sono più anziani rispetto al passato e hanno anche redditi pensionistici mediamente migliori, come effetto di carriere contributive più lunghe e continuative nel tempo, e occupazioni in settori e con inquadramenti professionali migliori. Tra il 2004 e il 2013 l’incidenza dei nuovi pensionati di vecchiaia che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5%, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni dal 37,6% al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6% al 28,8%. In generale, si registra un miglioramento della condizione socio-economica dei pensionati: negli anni 2008-2014 il reddito medio del totale delle pensioni è passato da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%). Per 3,3 milioni di famiglie con pensionati le prestazioni pensionistiche sono l’unico reddito familiare e per 7,8 milioni i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile. Così, si stimano in 1,7 milioni i pensionati che hanno ricevuto un aiuto economico da parenti e amici. Ma i pensionati non possono essere considerati solo come recettori passivi di risorse e servizi di welfare, perché sono anche protagonisti di una redistribuzione orizzontale di risorse economiche: sono 4,1 milioni quelli che hanno prestato ad altri un aiuto economico.

RAPPORTO CENSIS 2016

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